C’è una certa agitazione a casa mia,
arriva questo parente dagli Stati Uniti, un italo-americano di terza
generazione, ormai più americano che italo, di quelli che si sono dimenticati
tutto o che, per meglio dire, non hanno mai saputo nulla della loro terra d’origine.
Questo però un po’ di curiosità evidentemente l’ha mostrata se si è scomodato a
fare un viaggio tanto lungo alla ricerca delle radici della sua famiglia. Forse
i racconti del vecchio nonno, laggiù (o lassù?) a Brucculino, magari prima di
addormentarsi, la sera, il nonno gli cantava la ninna nanna della siminzina: “bo
e la ribò ora veni lu patri to e ti porta la siminzina la rosa marina e
lu basilicò”. Oppure tra i
giovani americani si sente a tal punto la mancanza di vere radici culturali che
è necessario tornare nella vecchia Europa per capire chi si è e da dove si
viene. O invece in fin dei conti ha semplicemente approfittato dell’ospitalità
dei parenti del nonno, fratello di mio padre, per ottenere una vacanza a basso
costo, perché tanta disponibilità economica non avrà il ragazzo, ha finito da
poco le superiori, se ho capito bene. Certo è che tutti qui si apprestano a
mostrare il meglio di sé, come succede sempre quando arriva qualcuno di fuori.
Marilena, mia moglie, ha deciso per l’occasione di modificare in modo
sostanziale la camera di Dario, mio figlio, che ormai non vive più con noi e
torna a trovarci sempre più di rado. Da cameretta di liceale, come lui l’aveva
lasciata prima di trasferirsi a Palermo, l’ha trasformata in una vera e propria
camera per gli ospiti, con tanto di tende nuove marroni e pareti e copriletto intonati,
armadio dimezzato e svuotato, tappeto nuovo. Anche la scrivania scura accoppiata
ad una nuova sedia beige, adesso assume un altro tono: “non è per lui, che è
poco più che un ragazzo”, ha detto, “ma cogliamo l’occasione per rinnovarci un
poco”. Okay, rinnoviamoci, non c’è niente di male. Quando però ha ipotizzato di
cambiare anche il salotto, dopo aver preteso “un’imbiancatina alle pareti del
corridoio”, ho rispettosamente fatto intendere che inserendo dei mobili nuovi, si
sarebbero notate maggiormente le pareti già segnate dagli anni e,
obiettivamente, non c’era il tempo materiale per una ristrutturazione completa
della casa. Avremmo fatto prima a comprarne un’altra, ma (ho fatto notare
sempre rispettosamente) forse non vale la pena di decidersi a cambiare
appartamento solo per ospitare un ragazzotto americano, per quanto lontano
parente. È ritornata sui suoi passi, già appagata di quanto ottenuto; mia moglie
mi conosce e sa quando non è il caso di tirare ulteriormente la corda. Elena,
mia figlia, sembra insolitamente interessata a conoscere il bis-cugino, forse
volendolo esibire come un trofeo esotico alle sue amiche nella rituale passeggiata
del sabato pomeriggio.
Gli altri
parenti dal canto loro, si stanno organizzando per non lasciare “da solo” (cioè
in pace) il giovane, soffocandolo di inviti a pranzo e a cena che basterebbero
fino a Natale, almeno due per ciascuna famiglia, quello per salutarlo all’arrivo
e quello per salutarlo alla partenza. Solo che gli inviti per il primo saluto
durano una settimana, e nella seconda di permanenza il povero malcapitato
dovrebbe ricominciare il giro, ché altrimenti i giorni non basterebbero. Così ce
la può fare, ma non gli rimarrà tempo per visitare nulla. Vedremo quali saranno
le sue intenzioni.
Finalmente arriva. Andiamo a prenderlo all’aeroporto
Falcone-Borsellino con la nostra c3 picasso dall’ampio bagagliaio, Marilena ed
io, per avventurarci in una breve visita a Palermo come da accordi presi per
telefono. Io ho manifestato le mie perplessità, dopo un viaggio così lungo in
aereo e con il fuso orario nel mezzo a sballare il metabolismo, ma lui, il
giovane Marc o Marco (non s’è capito), in inglese al telefono ha ribattuto che
avrebbe riposato per 4 ore a Fiumicino in attesa di imbarcarsi per la Sicilia. Quindi
sarebbe arrivato perfettamente riposato. Quando spunta dalla porta scorrevole
degli arrivi è perfettamente riconoscibile, bassino, bruno, vestito più
americano di un americano, peggio che nei telefilm: camicia hawaiana
sgargiante, bermuda a quadri con tascone, sneaker in camoscio ai piedi
(apparentemente senza calze) e una visiera azzurra lucente con ventilatore in
testa (che si scoprirà in seguito andare ad energia solare). Dopo saluti e
presentazioni, imbarchiamo in auto il suo striminzito bagaglio e ci dirigiamo a
Palermo, dove ci attende Dario, che ci guiderà mostrandoci magari degli angoli
meno conosciuti. Certo prima ci sono alcune cose imperdibili per un turista
alla sua prima esperienza. La Cattedrale: lì Marc, entusiasta dell’esterno, tira
fuori dallo zainetto il suo tablet, fa 4 foto in sequenza, poi all’interno si
annoia, non vuole sentire storie passate dei Re e delle loro tombe, andiamo
altrove. I quattro canti: 4 foto, subito via. La chiesa della Martorana: 1 foto
fuori, 3 dentro. Foto con particolare di tessera del mosaico. Foto alle
carrozze di Palermo, alle enormi magnolie di Piazza Marina, alle arancine della
Bomba, a noi, a se stesso che addenta l’arancina, al parcheggiatore di via
Lincoln, al mare dalla passeggiata della Marina, al mare con barche a vela. Casa
Professa: 2 foto fuori, 3 dentro. Foto con particolare del marmo rosso,
particolare del marmo bianco, particolare del marmo blu. Foto al venditore di
vestiti usati, alle pannocchie e i peperoni cotti, al venditore di panelle
mentre imbottisce un panino con le mani, una panoramica del mercato del
ballarò, foto ai pesci, alla frutta, allo sfincione. Torniamo in macchina, ma
mentre Dario ci spiega che ora ci vuol far vedere qualcosa di insolito, l’americano
si addormenta tranquillamente sul sedile. Non rimane che tornare a casa, il
viaggio aereo si fa sentire.
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