Una risata li seppellirà
In questi giorni lo spettacolo in prima serata e quello nelle mattinate è davvero incredibile, uno dei migliori a cui si potrebbe pensare di assistere, talmente è ironico o ridicolo (a seconda se i protagonisti risultano comici consapevoli o involontari). Se non fosse per i collegamenti fuori dagli studi televisivi dove gente indignata, confusa, incazzata continua a protestare perché ha già perso il lavoro o teme di farlo o perché pensava di essere al riparo con lo stipendio fisso, statale, regionale, comunale, ma non ha più certezze. Queste proteste davvero incivili (attenti, è ironia!) disturbano i soliti volti noti della tv come si capisce dalle smorfie che esibiscono in direzione della povera gente. Politicanti e sindacalizzanti e giornalistizzanti traghettanti da un programma all’altro si scambiano insulti e cortesie, in una farsa che non sembra rendersi conto di esser diventata autoreferenziale. Così si continuano a controllare i sondaggi settimanali sulle percentuali di questo o quel partito – cosa che, confesso tranquillamente, cattura anche la mia attenzione – senza far rilevare agli spettatori il numero davvero modesto di chi dichiara ancora di volere votare (poco più della metà degli eventuali aventi diritto). Il partito di maggioranza relativa, che arriverebbe si e no attorno al 28%, in tal modo non sarebbe espressione che del 14-15% della popolazione italiana. Bella maggioranza!
Certo non ci sono lesinate delle discrete soddisfazioni come le prese in giro pubbliche del nostro premier. I sorrisi di Sarkò e della Merkel, corredati dalla risata generale in sala stampa, non erano indirizzati certo all’Italia come paese, di cui Sarkò stesso ha tenuto a precisare si fida, ma al nostro primo ministro, l’on. Berlusca, sempre più macchietta di se stesso, sempre più “cummenda” di un film di terz’ordine, trattato come un piccolo imbroglione anche da Barroso che, stanco di vane promesse, il giorno dopo ha preteso “che i provvedimenti decisi dal governo italiano vengano messi su carta”. E il nostro (con una patina giallo-arancio uniforme in un viso fatto di gesso, privato della consueta smorfia-sorriso) a pedalare avanti e indietro tra Bruxelles e Roma nel tentativo di accontentare tutti pur di non perdere la poltrona, il che lo metterebbe alla mercé della giustizia. Spara dichiarazioni shock, per poi rimangiarsele in serata quando la Lega lo stoppa. Poi (proprio come un truffatore di bassa lega) decide di prendere alla lettera le indicazioni di Barroso e, incapace di emettere un provvedimento convincente, invece del decreto decide di portare all’Unione Europea una lettera di intenti. Come dire che invece di promettere a voce, mette per iscritto le promesse. Si accontenterà Barroso? E i giornalisti tutti appresso a ciò che fanno dire loro i politici, anticipando possibili soluzioni di condono, poi smentendole cinque minuti dopo, omettendo di raccontare che per i più facoltosi il condono fiscale c’è già in atto (provate a chiedere all'ufficio delle entrate). Senza mai dare notizie scomode come la privatizzazione che avviene a dispetto del referendum votato da 27 milioni di italiani, che imponeva i servizi comunali essenziali come pubblici. Il 14 settembre, zitto zitto, il governo ha reintrodotto la norma abrogata dal referendum, obbligando a privatizzare entro marzo, sotto l’astuto titolo di “liberalizzazioni, privatizzazioni e misure per lo sviluppo”. Quindi le avremmo già prese delle irrinunciabili misure per lo sviluppo. Perché non le mostriamo a Barroso, alla Merkel, a Sarkò, questi gioielli di idee, spiegando che non devono preoccuparsi? La verità è che oltre al titolo e ad appaltare nuovamente ai privati la gestione dei servizi essenziali che noi italiani con il referendum avevamo voluto tenere in mano ai Comuni, non c’è alcuno sviluppo previsto. E Sarkò è invece giustamente preoccupato e pressa sui nostri conti e sulla nostra credibilità internazionale perché le sue banche più importanti posseggono in totale 366 miliardi di dollari del nostro debito (più quello degli altri paesi europei a rischio per un totale di 573,5 miliardi di dollari di debito). Così insieme al nostro debito la Francia possiede un pezzo d’Italia, imponendole le politiche da intraprendere, ne ha il diritto. Come faremo ad uscire dal giogo prepotente del cugino transalpino? Risanando il debito, comprando le aziende francesi, convincendo la Bruni a cornificare Sarkò? Sembrano soluzioni lontane, difficili (tranne l’ultima che però può dare solo una soddisfazione modesta e transeunte).
Ci pensa come sempre Silviuccio nostro, che con l’assoluta paralisi del governo, lasciando che il paese vada a rotoli mentre continuiamo a raccogliere debito, ma al contempo cercando di sviare l’attenzione dei mercati con trovate, bizze e barzellette, farà in modo che i francesi continuino a comprare e ad accumulare il nostro debito. E al momento buono, quando di colpo falliremo noi, falliranno anche loro, travolti dai debiti (quelli nostri). E allora Berlusca in conferenza stampa con Sarkò, davanti agli occhi puntati di tutte le tv del mondo, si leverà la soddisfazione di un’ultima grassa risata.
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